I sotterranei dell'esistenza

In occasione del cinquantenario della liberazione dei prigionieri di Auchswitz, si sono susseguite numerose manifestazioni di commemorazione per ricordare i sei milioni di ebrei morti nel periodo nazista. Numerose le personalità politiche che hanno preso parte alla serie di manifestazioni che hanno visto la partecipazione di rappresentanti delle varie etnie, polacchi compresi, oggetto, tra l’altro, di innumerevoli critiche in quanto accusati di aver cattolicizzato e nazionalizzato un anniversario (la fine della shoà) che appartiene culturalmente all’ebraismo in quanto tale.
Tutti daccordo nel sottolineare la magisterialità della storia (numerosi gli articoli pubblicati sui quotidiani nazionali) e solleciti nel ribadire la necessità della memoria, ultimo argine di fronte alla superficialità e all’indifferenza dell’uomo contemporaneo, al quale il passato, perso negli anfratti di un materialistico ed esasperato presentismo, non dice più niente, relegato nei meandri dell’alterità e del estraneità ontologica.
L’atteggiamento poco sopra descritto, comune ad una cultura occidentalizzante, risulterebbe per un orientale il modo più specifico per un ebreo, estraneo e culturalmente difficile da comprendere. La fedeltà ha la stessa identità etnico culturale del popolo di appartenenza, esige la memoria che ogni membro del popolo di Giuda sente come proprio, vissuta personalmente e sperimentata di persona. E’ il concetto di memoriale, appunto, che esige la identificazione, anche nel passato, al ceppo etnico di appartenenza. Passato che rivive, dunque, che irrompe nel presente e che in un certo senso è presente. Evocare il passato significa allora richiamarlo in tutta la sua pesantezza, gravità, gloria.
“Strana concezione del tempo - potrebbe obiettare un italiano o un occidentale in genere - che riesuma una dimensione, il passato appunto, che più non esiste”. E di aspetti strani, questa concezione, ne avrebbe molti, specialmente se rapportata alla peculiare filosofia partenopea: “Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, “scurdammce do ppassato simme e Napule, paisà”.
E’ la nostra tradizione è pregna di questa filosofia che considera il passato passato, morto, fuori dell’orizzonte dell’esistenza.
Per un ebreo non c’è niente di più falso. Il pio israelita rivive e fa propria la storia dei padri. L’olocausto, quindi è la sua storia, come lo è l’esilio babilonese o i secoli di diaspora. Questi non può assolutamente dimenticare: il passato è un libro aperto è l’altro Libro, è la dimensione dinamica della Parola (dabàr) attraverso la quale Dio si rivela e parla la sua vita. L’ebreo è in perenne ascolto (Shemà Israel, Adonai Elohenu, Adonai Ehad: Deut, 6,4), è la storia parla la sua vita perchè è Dio che parla attraverso di essa. L’ebreo non può, quindi, assolutamente dimenticare: è in ballo la sua vita, la sua identità, il senso della sua storia.
Sgomento e disappunto suscita, invece, una nostra serie di interviste a studenti delle scuole superiori di Afragola. I dati sono allucinanti: l’ottanta per cento di essi, non aveva mai sentito parlare di Bergen Belsen, della notte dei cristalli e non conosceva il numero preciso di vittime del periodo nazista. Più del 50% degli studenti intervistati non aveva mai sentito parlare di Auschwitz e più del 70% di essi non sapeva il significato di olocausto.
La gravità di questi dati è enorme. La conoscenza storica dello studente medio delle superiori di Afragola è molto limitato, se non gravemente deficitaria, molto spesso sterile e legata ad una pedissequa ed alienante cultura libresca, figlio di un appiattimento esistenziale che mortifica lo spirito ed esalta la quotidianità intesa come “vivere alla giornata senza porsi troppi problemi”. L’esistenza dell’uomo contemporaneo viaggia sempre di più verso quella che definirei la virtualità dell’esistenza o delle esistenze, verso un vissuto fittizio che non chiede, non ascolta e mira ad eproblematicizzare la vita fingendo di non vedere, occultando la storia nei luoghi bui e umbratili di una memoria che ormai non ha più senso, nei profondi e tetri sotterranei dell’esistenza.


Da 'Afragola oggi' del 05-02-1995

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