Cancelli chiusi alla speranza
In occasione del ‘giorno
della memoria’ 50 studenti di Caivano hanno visitato la risiera
di San Sabba
In occasione del “Giorno
della memoria”, cinquanta studenti di Caivano hanno vissuto
un evento straordinario: hanno visitato venerdi 23 gennaio scorso
la risiera di San Sabba, presso Trieste, che nel 1943, ai tempi
del Secondo Conflitto Mondiale, fu il principale lager nazista sito
sul territorio italiano, dove vennero deportati dai tedeschi moltissime
persone di origine ebraica catturate in Istria e nel Carso.
La Scuola Media Settembrini di Afragola, inoltre, sabato mattina
ha presentato una drammatizzazione della vita di Anna Frank che
ha visto impegnati moltissimi studenti.
Eventi che sembrerebbero giornalisticamente di spessore non eccessivo,
a fronte delle crisi politiche di diverse amministrazioni, del dramma
che stanno vivendo i lavoratori dell’Exide di Casalnuovo,
della catastrofe ambientale di Acerra o del degrado del rione Salicelle
di Afragola.
Eppure non riesco a pensare ad altro. All’esperienza di quei
50 ragazzi caivanesi alla risiera di San Sabba, alla esperienza
che hanno fatto della storia delle efferatezze naziste, alla realtà
dei 5000 campi di concentramento nazisti, ai quattro milioni di
morti solo ad Auchwitz (un numero di uomini donne e bambini che
avrebbe potuto riempire un’intera grande città), a
che questo campo di concentramento era stato scientificamente progettato
con l’idea di compiere un massacro. Dovevano infatti essere
ancora costruite vaste zone di baracche ed erano anche stati predisposti
degli appositi spazi per ulteriori camere a gas, camere mortuarie
e inceneritori. Il normale tasso oscillava tra le 10.000 e le 12.000
vittime al giorno, con cinque forni crematori che erano in grado
di eliminare 279.000 persone al giorno, che i tedeschi guardavano
morire con perverso piacere. A tale scopo infatti, avevano costruito
appositi finestrini sulle porte delle camere a gas da cui “gustavano”
il macabro spettacolo dell’effetto del gas venefico sulle
vittime che venivano assassinate.
Eppure in questi ultimi anni in Europa – e in quest’ultimo
periodo in Italia – è cresciuto e si è consolidato
un movimento che vuole negare l’innegabile. Uno dei massimi
esponenti di questo filone di pensiero è Leon Degrelle (ex
comandante SS Wallonie) ricercato per crimini nazisti dalla polizia
belga. Le sue sconcertanti affermazioni circa la inesistenza dell’olocausto
mi fanno rabbrividire: “Il campo di concentramento, di per
sé, dice Degrelle – considerate le circostanze e la
gente che era destinata ad andarci, è abbastanza umano, io
sono uno specialista, dal momento che in un campo di concentramento
si vede il cielo, la domenica si sta con gli amici. I campi tedeschi
– continua l’ex comandante SS – erano proprio
così. Non è vero tutto quello che hanno raccontato
sui tedeschi: si è creata, intorno al loro operato, una leggenda
orribile. Non è stato poi così terribile come ci hanno
raccontato. I prigionieri assumevano, nella dieta quotidiana, circa
2000 calorie al giorno (…). Le camere a gas? Mai sentite nominare.
Non ho mai sentito un’allusione a questo strumento di morte
da parte dei gerarchi nazisti. Voci!
Forse servivano per disinfettare i prigionieri”.
Queste affermazioni sembrano l’incarnazione dell’incubo
che Primo Levi ha descritto tante volte; l’incubo di tornare
da un campo di concentramento, di raccontare e di trovare un atteggiamento
di incredulità o peggio di indifferenza da parte di chi ascolta.
Degrelle però, non è un fatto isolato. Il “revisionismo”,
incarnato prima da alcuni storici inglesi all’inizio degli
anni ‘70, nel ‘78 ha avuto un’esplosione in Francia,
capeggiato da uno storico dell’università di Lione
di nome Faurissonne. Il suo caso fece particolarmente scalpore perché
il libretto in cui negava le stragi naziste, presentava l’introduzione
scritta da un famosissimo linguista americano, ebreo di sinistra.
Per non parlare poi di Ernst Nolte e di altri “maestri del
nulla”che tanto stanno blaterando, sbandierando la menzogna
al quattro venti… ma mi fermo qui, per non rischiare di annoiare
il lettore.
L’atteggiamento di negazione, o peggio, di oblio, tuttavia,
è il denominatore comune della società post- contemporanea.
L’appiattimento cognitivo della cultura del “grande
fratello III o IV edizione” ormai ho perso il conto, dell’isola
dei famosi e delle grandi dispute televisive tra Bonolis e Striscia,
che cerca il ‘dissvartismain’ a tutti i costi, non è
altro che la rappresentazione culturale, voluta, indotta, del revisionismo
storico, è l’attacco frontale della cultura egemone
alle ‘radici’, è l’ipotesi del non- pensiero,
dell’uomo strumento spersonalizzato del sistema, pedina della
‘matrix’ che ci circonda.
Ciò che stiamo vivendo è l’effetto del vero
“oppio dei popoli”, fattoci fumare da una cultura che
ci vuole dementi, immemori, in uno stato di perenne stordimento,
incapaci di ragionare con la nostra testa, di parlare con parole
nostre. Ci mette in testa ideali e modelli da seguire che rappresentano
la negazione dell’uomo e della persona, che ci rende incapaci
di ‘leggere’, un libro, la storia, la dimensione e il
senso autentico del nostro vivere. Una cultura che ha definitivamente
chiuso i cancelli della nostra coscienza critica, i cancelli della
speranza, con un lucchetto e ha gettato via le chiavi. E’
questo, che stiamo di fatto vivendo, il moderno “revisionismo”,
la notte delle coscienze, il nuovo lager dell’uomo contemporaneo.
Allora queste due iniziative di cui sono venuto a conoscenza, rappresentano
il lumicino, la speranza, la ricerca delle chiavi di quel pesante
cancello chiuso; forse gli eventi di importanza maggiore che sono
avvenuti in queste due ultime settimane nelle nostre città.
Solo aprendo quei cancelli, possiamo sperare. Senza coscienza critica,
senza uomo, senza persona non c’è sviluppo urbanistico,
non c’è politica, non c’è economia, pensiero,
società civile. Tempo fa Norberto Bobbio, da poco scomparso,
scriveva: “Il pensiero che ci sia anche un solo essere umano
che non ne abbia avuto abbastanza, i cui mucchi di cadaveri non
siano sembrati abbastanza alti, ci riempie di orrore e di dolore.
Se basta un solo atto sublime di carità per esaltarci, dobbiamo
avere il coraggio di dire che basta un solo atto di abiezione per
metterci in un stato di allarme. Si è arrivati sino al punto
di dire alle vittime, alle poche vittime superstiti: “Avete
mentito, avete inventato tutto, avete trasformato la grande srtage
in una grande menzogna”. Ci dobbiamo dunque rassegnare all’idea
che il male sia inestirpabile e la storia non abbia trovato, non
possa trovare la propria redenzione?
Forse il male compiuto non è stato espiato.
Forse era troppo grande per essere espiato.
E non espiato, ritorna non soltanto nei nostri sogni, nei nostri
incubi, nelle nostre maledizioni, nelle nostre accorate e reiterate
proteste, ma anche nella realtà quotidiana, di cui ci danno
notizia ormai quotidianamente, con monotona ripetizione, i giornali”.
Dal
'Asse Mediano' del 25-01-2004
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