Domandate pace
Domandate pace per Gerusalemme:
sia pace a coloro che ti amano,
sia pace sulle tue mura,
sicurezza nei tuoi baluardi.
E' questo un passo molto
forte del Salmo 122, un Salmo di enorme forza e valore, specialmente
in questi giorni, che registrano la drammatica situazione bellica
nella Terra Santa; terra di pace per eccellenza, terra di incontro
e di dialogo.
Molti oggi sono quelli che gridano al dialogo, che chiedono la conciliazione,
che si appellano all'ascolto ed alla comprensione dell'altro.
Nelle scuole abbondano i progetti che si pongono come obiettivo
"la valorizzazione della diversità come ricchezza"
dove diversità non è solo razza, etnìa e colore
della pelle. Cultura, costume, lingua, religione, modo di pensare
ed esprimersi. La politica, nazionale e locale, ormai non si esprime
se non utilizzando questi termini. Rispetto, dialogo, concertazione.
La cultura italiana manco a dirlo. Gli intellettuali, i giornalisti,
gli scrittori, gli show-men inneggiano alla pace, segno ed elemento
di civiltà.
Eppure, quanto vedo e sento, sembrerebbe dimostrare il contrario.
L'arroganza della verità, l'ignoranza del credersi unico
depositario dell' evanghelion, la grettezza della chiusura all'ascolto,
l'ignoranza del considerarsi la chiave ermeneutica del Lògos.
Si parla, troppo, e si stenta a capirsi. Il mio lavoro, che fa uso
abbondante della parola, sta diventando uno sforzo sovrumano, proibitivo,
spossante.
Ormai non c'è alcun dubbio. Popper aveva ragione. La parola
ha perso, si è svilita, svuotata, relativizzata. E' sempre
meno importante, immersi come siamo nell'universo dei 'luoghi dell'apparire'.
L'unico strumento, o forse il più eminente, il più
incisivo, che poteva permettere a due 'io' di comunicare è
seriamente compromesso. E' come se un ponte fosse crollato, e per
passare da una parte all'altra della città divisa dal
fiume, ogni volta dovessi tuffarmi e attraversare il gelido
e tumultuoso fiume a nuoto.
Non può esistere dialogo né comprensione nè
incontro se non c'è ascolto, se non si sa ascoltare perché
non si capisce, non si comprende.
E allora ci si chiude, come monadi senza porte né
finestre, e l'effetto serra delle nostre convinzioni si amplifica
sempre più perché si rifrange contro le pareti spesse
ed ermetiche della individualità esasperata, fino a sfociare
in odio.
L'altro giorno, chiacchieravo con una collega, docente di Lettere
in un Liceo Classico di Napoli. Senza mezzi termini mi diceva "Io
a Berlusconi lo odio, dal profondo del cuore". Che bell'esempio!
Il fondamentalismo non è altro. E' la madre dell'ignoranza,
il vaso di Pandora della negazione dell'uomo, il frutto della pochezza
mentale, della subcultura televisiva. Non è solo appannaggio
del mondo islamico. Difendere a spada tratta le proprie convinzioni
chiudendosi al dialogo e al confronto, è senza dubbio un
atteggiamento fondamentalista. Come il non cedere al dialogo politico,
da una parte e dall'altra.
Alla luce di quanto detto, questo passo del Salmo 122 assume un
valore diverso. La pace si può chiedere, si deve chiedere.
Ma se non si sa ascoltare non ha senso.
"Ascolta Israele" è la preghiera che il pio israelita
recita 5 volte al giorno.
Allora prima di chiedere pace, sembrerebbe dire il passo biblico,
parla poco, misura le parole, che sono pesanti e rifletti sul significato
profondo di ciò che dici e che l'altro dice.
Solo così, nell'ascolto e nell'umiltà, nel mettere
in discussione il proprio verbo, si può salvare il
mondo. Non servono fiaccolate, né pacifisti. Ce ne sono fin
troppi. Oggi, per chiedere pace per Gerusalemme, c'è bisogno
dell'uomo.
Dal 'Cogito' del 07-04-2002
|