Il servo consigliere
Col rafforzamento del ruolo
della Provincia, queste elezioni si prefigurano come elemento strategico
ed evento delicato ed il ruolo dei consiglieri eletti al Consiglio
Provinciale si configura come servizio all’uomo ed alla persona.
Forse, questo, il numero
più complesso della storia di questo giornale. Per mantenere
l’equilibrio, cercare di far parlare tutti i canddati, questi
sono stati giorni sofferti; giorni caratterizzati dall’ufficializzazione
delle candidature per le elezioni amministrative, per quelle provinciali
e per le elezioni europee e dell’inizio della campagna elettorale,
che ha registrato dibattiti, convegni, manifestazioni e tante polemiche.
Polemiche relative soprattutto alle strategie, più o meno
impositive, utilizzate dai vertici dei vari soggetti politici per
la individuazione del candidato per le europee come per le amministrative.
E spesso, laddove non c’è stata una immediata e netta
presa di posizione da parte dei vertici provinciali e/o regionali,
la scelta del candidato è risultata l’epilogo di una
feroce lotta intestina che ha lasciato sulla strada numerosi morti
e feriti e ha prodotto clamorose spaccature.
Tutti, sembra, abbiano anelato spasmodicamente alla candidatura.
Forse per la rediviva coscienza civile e politica che sembra da
qualche tempo denotare l’impegno dei nostri amministratori.
Forse per il ruolo strategico che la Provincia va via via assumendo
sempre più nel processo di devoluzione in corso.
Ed è proprio il rafforzamento del ruolo della Provincia,
a mio avviso, a caratterizzare questa tornata elettorale. Ruolo
che il principio di sussidiarietà verticale, agognato da
Papa Leone XIII a fine ‘800 e recepito nella Costituzione
della Repubblica, invoca come servizio all’uomo ed alla persona.
Le politiche legislative di decentramento amministrativo, avviate
all’inizio degli anni ’90 dalla legge 142, e riprese
dalla legge Bassanini n.59 del 1997 (quella dell’autonomia
delle istituzioni e degli enti locali, per intenderci), sono ormai
definitivamente attuate per effetto dei decreti legislativi di conferimento
delle funzioni statali in materia di agricoltura e pesca; in materia
di trasporto pubblico locale; in materia di mercato del lavoro,
di trasferimento del personale e delle relative risorse, e delle
leggi regionali di conferimento agli enti locali delle funzioni
amministrative nelle materie di urbanistica, di protezione ambientale,
di difesa del suolo, di risorse idriche, di attività estrattive,
di formazione, di cultura e turismo.
Questo processo è stato addirittura costituzionalizzato con
la legge Costituzionale n. 3 del 2001 che ha modificato il Titolo
Quinto della seconda parte della Costituzione della Repubblica.
Del corposo processo di decentramento e di trasferimento di compiti
e funzioni dallo Stato alla Regione, alla Provincia e ai Comuni,
che ha caratterizzato l’ultimo decennio, la Provincia, allora,
ha indubbiamente rappresentato uno dei principali poli di attrazione.
Il potenziamento delle sue funzioni consentirà di radicare
più profondamente la Provincia nella comunità locale
e di dare corpo e sostanza alla sua riaffermata e forte identità
di ente intermedio dotato di piena autonomia, il quale, secondo
la definizione fornita dall’art.3 del Testo Unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali, “rappresenta la
propria comunità, ne cura gli interessi, ne promuove e ne
coordina lo sviluppo”.
La ricchezza del nuovo ruolo della Provincia non si può per
altro cogliere a pieno, se ci si limita a rimarcare la quantità
e la rilevanza dei nuovi compiti di gestione e amministrazione attiva
conferiti, e non si considera nella pienezza il nuovo ruolo programmatorio
che la stessa Provincia è chiamata a svolgere sia in ambito
socio-economico che rispetto alle politiche territoriali.
Le elezioni provinciali di quest’anno, allora, si inseriscono
in un nuovo scenario e assumono un ruolo delicato e strategico,
per la nostra vita di cittadini, per il nostro futuro.
Siamo chiamati democraticamente ad esprimerci su coloro che non
in modo simbolico, ma in modo incisivo, nel bene o nel male, determineranno
con le proprie scelte, molto più che in passato, il nostro
futuro e configureranno il proprio ruolo politico come servizio
all’uomo e al cittadino, come servizio alla persona. Nelle
nostre mani e nel nostro cuore, una scelta di enorme valore; una
responsabilità gravissima, un impegno ed un diritto da esercitare
tutt’altro che in modo spensierato e a cuor leggero.
Sto dicendo, in sostanza, che in virtù del nuovo ruolo che
assume la Provincia e dei suoi poteri che risultano di gran lunga
rafforzati – ed è la prima volta che noi andiamo a
votare per questa nuova Provincia - i giorni del 12 e del 13 giugno
possono risultare determinanti per il nostro futuro e per il futuro
delle nostre città.
E’ chiaro allora che la scelta del candidato di questo collegio
al Consiglio Provinciale non può che essere una scelta meditata,
sofferta, cosciente e responsabile.
C’è, allora, da rimboccarsi le maniche e passare dalle
parole, dalle tante parole pronunciate in questa campagna elettorale,
ai fatti. Sono centinaia i problemi dell’hinterland a nord,
nord-est di Napoli, dall’emergenza criminalità alla
mancanza di lavoro, dal degrado urbano delle nostre città
e dei quartieri “ricostruzione”, ad una viabilità
in scacco, dalla carenza di impianti per lo sport ed il tempo libero
a strutture sanitarie e scolastiche carenti e fatiscenti, dal problema
“smaltimento rifiuti”, che si ripresenta periodicamente
e sempre in maniera più urgente, al problema dello sviluppo
schizzofrenico e non progettato del nostro territorio. Questo è
ora il campo di battaglia sul quale combattere, sudare e concretizzare
risultati. Non è assolutamente sufficiente una ordinaria
gestione amministrativa. Il dramma c’è e si vede. E’
il dramma di chi in questi paesi vive un profondo disagio, di giovani
per i quali l’orizzonte più remoto non va al di là
della piazza, di anziani costretti a non poter far altro che a stare
seduti fuori i bar, di persone in difficoltà (e quante ce
ne sono nelle nostre piazze) mentale e/o economica senza nessuna
forma di assistenza, alle quali non resta altro da fare che chiedere
qualche spicciolo per ubriacarsi, per stemperare l’atroce
sofferenza che si consuma nel proprio animo.
Era qualche anno fa che per curiosità, per studio e per riposarmi
un po’, decisi, insieme ad alcuni amici, di passare qualche
settimana nel convento benedettino di clausura di Subiaco. Esperienza
unica, toccante, profonda.
Era l’ultimo giorno di permanenza ed eravamo tutti a pranzo.
Tutte le volte che eravamo stati in quel refettorio affrescato e
antichissimo a mangiare, mentre un lettore proclamava a voce alta
la parola del Vangelo, il mio sguardo, nel silenzio fisico ed interiore,
si posava su un trono ligneo vuoto, al centro della mensa, maestoso
e altissimo. Avevo saputo che era il trono dell’Abate, capo
spirituale del Monastero, che, in verità, fino ad allora
non avevo mai visto. Ero curioso di vederlo ma, un po’ perché
non si pronunciava parola, un po’ per delicatezza, non chiesi
mai dov’era l’Abate del Monastero. Quell’ultimo
pranzo, però, era un po’ una festa gioiosa e silente
in nostro onore, visto che di lì a poco saremmo partiti.
Mi feci coraggio e rompendo la clausura, a bassa voce, chiesi al
monaco che aveva sempre servito a tavola dove fosse questo benedetto
Abate.
“Sono io” mi rispose sorridendo.
Dal
'Asse Mediano' del 23-05-2004
|