L'abominio della desolazione

Il grido d’allarme è stato lanciato da un giovane del rione Salicele. Intervistato qualche giorno fa nell’ambito di un servizio giornalistico dal valido Geo Nocchetti, il ragazzo afragolese, facendo da cicerone nel degrado e nello scempio, non faceva che ripetere più volte la stessa frase: “Ci hanno abbandonato”.
Diecimila afragolese, quasi tremila abitazioni fotocopia, niente spazi, piazze, strade per il passeggio, nessuna struttura ad utilizzo sociale, nessun negozio, niente verde, eccezioni fatta per la sterpaglia che circonda il quartiere; un tasso elevatissimo di microcriminalità, due scuole praticamente in scacco di frequente vandalizzante.
Molto spesso mi capita, percorrendo in macchina via Arturo De Rosa, di notare codi di ragazzi che si dirigono in piazza.
Molti di essi sono i ragazzi delle Salicele. Occhi grandi, capelli tirati a lucido, grande voglia di vivere la normalità, di stare insieme, di uscire dal ghetto e di non soffrire, almeno per una sera, la condizione di ermaginazione e di isolamento sociale a cui li ha costretti una demente e criminale pianificazione urbanistica.
Non protestano, i ragazzi delle Salicele, per una condizione umana che sembra essere stata decisa dal fato, che sembra gli tocchi per eredità antropologica. Non si costituiscono in comitati, non gridano in piazza per l’abbandono totale di tutte le amministrazioni cittadine.
È l’atteggiamento dell’umile.
Accetta con dignità e rassegnazione la propria sofferenza. La causa, il ‘locus of control’ potrebbe dire in altri termini di sociologo, non è a portata di mano. Non è di questo mondo.
La causa dei mali del mio quartiere e della mia esistenza non è da imputare all’Amministrazione Comunale, che, rea di non svolgere il suo compito di servizio alla persona, preferisce glissare il problema. Forse la causa è un mio remoto peccato, una fattura, un legamento o qualcosa di indefinibilmente altro che non ho la possibilità si conoscere e sapere.
No cari amici e concittadini delle Salicele.
Se la vostra condizione umana e civile versa in queste condizioni, è colpa di tutti. È mia perché fino a questo momento forse ha taciuto; è del crimine che ha progettato il ghetto nel quale vivete;è dei concittadini afragolese che preferiscono non avere altre gatte da pelare; è dell’Amministrazione comunale che piuttosto che servire e tutelare l’uomo e il cittadino ha forse capito che politica significhi forse fare qualcos’altro; è vostra perché fino ad oggi siete stati zitti.
Eppure quel disperato grido di aiuto di quel ragazzo ci ha forse svegliati da un sonno che durava da anni.
Parlatene, gridate, chiedete e non fermatevi. Cambiare si può, si deve. Quando i diritti, quelli più elementari, non vengono tutelati, vengono negati, si deve avere il coraggio di gridarlo, in piazza, in strada, sui tetti. Dovete essere i soggetti e i protagonisti del cambiamento, del riscatto sociale, di una rediviva coscienza civica che rivendichi dignità, umana e civile, che rivendichi rispetto per la persona.
Quel quartiere va ricostruito partendo dalla coscienza civica.
Solo cosi c’è possibilità di cambiare.
Lo dico col cuore in mano: non vi stancate di gridarlo. Chiedete dignità. Uscite da quel lungo buio e tetro nel quale sono state relegate le vostre anime, luogo umbratile che ha mortificato la vostra storia, storia di abominio e di desolazione.

Dal 'Cogito' del 9-12-2001

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