Le cose cambieranno se i poveri
lo vogliono
In quest’ultimo periodo
della mia vita, mi sono reso sempre di più conto che la storia
è dei poveri, la storia e degl’uomini di buona volontà,
e degl’uomini che con la loro sofferenza, con loro impegno
indefesso, con la loro determinazione hanno cercato di tradurre,
di concretizzare le loro ansie di cambiamento, le loro speranze.
La storia dicevo, è di chi non ha avuto paura di spendere
la propria vita, di spendere se stessi, di spendere il tempo, il
prezioso tempo che l’Onnipotente ci ha in modo sapiente e
parsimonioso messo a disposizione, per qualcosa per cui valesse
veramente la pena perdere la vita, per ritrovarla, in tutta la sua
mirabile dignità, in tutto il suo sconfinato valore, nell’altro,
nell’altro che spesso ci sta accanto, nell’altro che
non ha voce, perchè spesso la sua voce è stata soffocata,
nell’altro che chiede dignità, perchè spesso
la sua dignità è stata violata, nell’altro che
chiede umanità, perchè sovente la sua umanità
gli è stata negata, nell’altro che impara, grida al
mondo il suo essere persona, laddove spesso ci si ritrova nei meandri
e negli anfratti di un diritto negato, di una dignità profanata.
E’ in quest’ultimo periodo, dicevo, che sto maturando
profonde esperienze; un periodo di crisi della mia fugace esistenza,
ma proprio perchè di crisi, un periodo di crescita feconda;
un periodo del quale realtà che fino ad ora sono rimaste
relegate nell’Ade della dimenticanza, emergono prepotenti
in tutta la cruda e dolorosa realtà.
Non credo che si possa mettere in secondo piano, inoltre, l’esperienza
che sto maturando in questi mesi con la preziosa Caritas Diocesana.
Un mese di volontariato nella mensa dei poveri del Centro di Accoglienza
del Carmine di Napoli. Successivamente - ormai sono alcuni mesi
- con l’Associazione Figli in Famiglia di S.Giovanni a Teduccio,
con la quale sto conducendo un indagine psico-pedagogica sugli alunni
delle scuole di quel territorio. Lavoro lungo e difficile, lavoro
lento e doloroso, lavoro dove giorno per giorno, ora per ora, minuto
per minuto, si scopre e si vede emergere un universo “totalmente
altro” , lontano; un universo che credevo ormai perso, passato,
lontano anni luce dalla nostra realtà, dalla nostra civile
e perbenistica vita medio-borghese. Un universo che si è
dischiuso a miei occhi:
il mondo dell’infanzia e il mondo adolescenziale di S.Giovanni..
Un mondo sfiduciato, che non ha più modelli validi, positivi;
un mondo costretto ad attingere a modelli prefabbricati; mondo di
povertà, sociale, materiale e culturale. Un mondo di sofferenza
atroce per una realtà degradata, un mondo di solitudine.
Un mondo dove si ergono a modelli archètipi pensati ed ideati
di sana pianta per trasfondere nelle vene del consumatore bisogni
che non sono per niente primari; bisogni indotti, bisogni sovrastrutturali,
che nascondono sotto un ammasso di macerie umane la sublimità
dello spirito; che affogano in un marasma antropologico quel che
resta della persona.
E’ proprio questa società questa cultura iper-consumistica
e ultra capitalistica, società che ha ormai idolatrato il
danaro, che ha idolatrato il vivere comodamente e senza eccessive
preoccupazioni, che fugge dal dolore e dalle situazioni di sofferenza
perchè sgomento, atterrito di fronte alla croce; questa stessa
società ha una risposta a tutto le ansie, a tutti i problemi,
di matrice esistenziale, psicologica, economica e sociale; una risposta
che potrebbe anche configurarsi paradossalmente come non - risposta,
nel senso che occulta la domanda, perchè la risposta non
venga a caratterizzarsi come indispensabile ed iprocastinabile.
Sono i dettami, quelli descritti sopra della “religione capitalistica”
che pianifica e teorizza la “non risposta” con metologia
che risolve il problema alle radici: la domanda non ha senso. E’
la progettazione sistematica del non-pensiero, dell’iper-attivismo
che riempie tutti gli spazi della giornata, perchè i mass
media possono devastare, come le orde barbariche nei villaggi indifesi,
le nostre fragili menti.
E il Dio di questa religione, che ci offre la soluzione preconfezionata
e ci aiuta ad abbattere gli ultimi baluardi di una esitante ronda
che, disarmata e senza armatura, sta a guardia delle diroccate mura
della nostra esistenza, riceve ed ottiene, con estrema facilità,
la venerazione incondizionata della sua legge e l’adorazione
dei suoi messia.
“Tutti - per dirla con Ravasio - si intruppano frenetici e
felici nell’ultima moda, rifanno il verso dell’ultimo
cantante, stringono in mano l’ultimo prodotto suggerito dalla
pubblicità, ripetono l’ultimo slogan e tappezzano la
mente con l’ultimo luogo comune”.
Tutti presi, condizionati, inebetiti, ipnotizzati - è questo
i creativi pubblicitari lo sanno molto bene quando negli spot utilizzano
le tecniche di transport psicanalitico o di condizionamento subliminale.
E’ una nuova forma di alienazione, una nuova religione che,
come scrivevo tempo fa su Afragola Oggi, vero oppio dei popoli,
ci mantiene nella costante insipienza culturale e nella totale disumanizzazione.
L’uomo ascende e si qualifica socialmente nella misura in
cui possiede. Non conta altro. Tutto ha un prezzo e tutto ha un
valore, acquisibile in virtù della capacità del potere
d’acquisto.
Come suonano strane e difficili da comprendere le parole di Albert
Einstein: “L’uomo vale non per quanto possiede o per
quello che è, ma per quanto riesce a donare”. E’
la profondità e la apoftègma della Sapienza, l’apogeo
della verità, la vetta del pensiero antropologico. E la mia
anima, di fronte a questa afasia esistenziale, a questo vivere amorfo
e onirico - Diogene mi perdoni - cerca l’uomo. Lo cerca con
un umile lanterna che non ha la capacità di illuminare l’abisso
che la circonda e le passa attraverso. Un uomo disingannato, disilluso,
disalienato. Un uomo che sia veramente tale, che abbia il coraggio
di chiedere, di meravigliarsi, di stupirsi; un uomo che abbia la
capacità di dar conto del suo agire, di mettersi alla ricerca
delle ragioni profonde della sua esistenza. E nel frattempo, la
mia vita è rimasta indietro, persa nelle brume delle campagne
abbandonate, sospesa sui picchi dei monti, paralizzata nelle foschie
autunnali di occhi spenti dai quali - per parafrasare un verso delle
Rime di Michelangelo - nulla traspare.
E’ in quegl’occhi che cerco una risposta. Negl’occhi
della povera gente, negl’occhi di chi è emarginato,
di chi vive ai margini della legalità; negli occhi dei ragazzi
di S.Giovanni o dei barboni della mensa del Carmine; negl’occhi
di un ambiente delle Salicelle o di un cittadino della nostra provincia
che soffre per un diritto negato. Il diritto di vivere, dignitosamente,
di vivere.
E’ il Sud, cari amici. E’ lo scomodo Sud geografico
e spirituale. E’ il Sud dei fratelli africani ma anche il
Sud degli indiani d’America; è il Sud dei quartieri
219 come quello del Leonardo Bianchi, il Sud dei quartieri Spagnoli,
il Sud delle baracche di via Arena di Afragola, il Sud degli extracomunitari
che vivono nelle nostre città, il Sud dei nostri figli inebetiti
dalla televisione, il Sud di noi tutti che viviamo una vita di silenzio,
una vita di profonde solitudini, ad onta delle apparenze e del rumore
atroce che produce la nostra frenesia quotidiana; il Sud di chi,
come me in questo momento, ha infranto la sua vita sui dirupi dell’indifferenza,
a compromesso la sua storia - e chi mi conosce, sa quello a cui
mi riferisco - per qualcosa di profondamente serio; il Sud di un
uomo che nega se stesso, di un uomo che nega la sua storia, che
si inginocchia di fronte alla storia e chiede giustizia.
Queste, cari amici, le profonde ragioni di questo giornale. Un giornale
che alle spalle non ha nessun imprenditore né il politico
di turno, che non ha - e questo lo ribadisco con tutte le mie forze
- nessun interesse partitico o economico. Un giornale frutto di
determinazione, di competenza, di enorme entusiasmo e impegno. Un
giornale giovane, fatto da giovani, giovani entusiasti e determinati,
giovani dentro, giovani eticamente ineccepibili, giovani con una
grande voglia di fare qualcosa di veramente importante per la nostra
terra e la nostra città.
Giornale, dicevo, che allorquando riuscisse a partire, rappresenterebbe
un impresa, una pietra miliare nel campo dell’editoria, una
vittoria senza eguali e senza precedenti. Sarebbe la vittoria di,
chi come me, ha creduto negl’altri. Ha creduto e continuerà
a credere che per molti, per moltissimi di noi, non conta solo il
profitto, la macchina all’ultima moda, il telefonino cellulare
da esibire come status simbol, il lavoro prestigioso o la poltrona.
Sarebbe la vittoria in primis, dei giovani di Afragola, di S.Giovanni,
di Casiria e di altre città del napoletano che hanno creduto
con tutte le loro forze che, forse forse, starsene chiusi nella
propria stanza a studiare per incrementare il prestigio socio-economico
mentre centinai di bambini muoiono ogni giorno di fame, di malattie,
di morti violenti, usati in modo dissacrante dalla mala vita organizzata
o non organizzata come corrieri, spacciatori o Killers addirittura,
non è giusto; si signori miei. Non è giusto.
Sarebbe la vittoria di chi crede il proprio impegno, concretizzantesi
fa parte di un giornale come il SUD, possa servire a qualcosa; possa
servire a qualcuno.
Sarebbe la vittoria di chi si lascia cullare da questa incontenibile
speranza, da questa mirabile utopia, da questo straordinario sogno:
scrivere, discutere, confrontarsi, denunciare, promuovere, piangere,
per dare, per smuovere, per sensibilizzare, per far qualcosa di
tremendamente concreto e reale.
Sì, signori miei, piangere.
Qualche tempo fa - circa due millenni e passa - un certo Pitagora
afferma con convinzione che le stelle nel loro moto eterno, producono
un armonia una musica, che l’uomo, a causa dell’abitudine
non è più capace di udire. Il nostro amico filosofo,
restava ore ed ore immerso nella contemplazione del celo, riuscendo
ad ascoltare la musica delle stelle.
Era la sua scuola (scholè per i greci, significava tempo
libero da dedicare allo studio o alle contemplazione, alla theoria
= visione del divino, della verità), diversa dalla accezione
che riveste per noi italiani del millenovecentonovantacinque.
Restava ore ed ore a contemplare le stelle, dicevo, e spesso, spessissimo,
si ritrovava in lacrime.
“Ma che imbecille - potrebbe obiettare qualcuno di voi. Che
c’è da piangere di fronte al cielo stellato?”.
Beh! - vi risponderei - questa è una classica affermazione
di un occidentale del XX secolo. E per me questa è quasi
una offesa. Nel senso che, ormai, niente e nessuno più ci
commuove, niente e nessuno suscita in noi ammirazione (non curiosità,
che è un interesse superficiale e passeggero), venerazione,
profondo interesse. Oggi tutto è pacifico, ogni cosa la si
da per scontata. L’atteggiamento di contemplazione, caratteristico
dei bambini che sgranano letteralmente gli occhi sul mondo nel tentativo
di scoprire i maghi e le fate, è da noi considerato qualcosa
di infantile, do profondamente depauperante. Siamo tutti adulti
e vaccinati. Tutto ciò che concerne il cuore è sciocco.
L’uomo vero no piange. Il SUD no! Si, amici. Il SUD guarderà
il mondo con gli occhi bagnati. Il SUD piangerà per il mondo.
E piangendo ne parlerà, avendone a cuore le sue sorti.
Sarà un giornale di cronaca, certo, ma in questa prospettiva;
preoccupato, attento, vigile.
Eppure il nostro entusiasmo, la nostra voglia di fare e di dire,
il nostro impegno, potrebbe essere frustrato, prima di nascere.
Siamo una realtà culturale ed editoriale nuova e dirompente,
forte e tenace, neonata ma determinata, ma - eh! La tradizione è
tradizione - economicamente povera.
Perchè questa realtà prenda pienamente corpo c’è
bisogno di chi ci protegga. C’è bisogno di chi aiuti
questa gestante a partorire. C’è bisogno di chi ci
aiuti a combattere violentemente l’indifferenza esistenziale,
la piattezza cognitiva, le ecatombe culturali, perchè si
stimoli il cittadino alla riflessione ingenerando istanze, spingendo
alla incensante ricerca: cosa che, sola, caratterizza l’uomo
in quanto tale. Questo è il motivo per cui gli sponsor che
sono comparsi su questo numero non li abbiamo chiamati ne li chiameremo
mai sponsor. Essi sono di più, molto di più, sono
grandi realtà umane, e per il solo fatto che hanno permesso
a questa grande nave del SUD di battere il primo colpo di reni,
saranno, da oggi in poi, chiamati mecenati. Mecenati nel senso alto
e nobile del tempo, mecenati in quanto sensibili al sociale e alla
cultura, mecenati in quanto custodi e portatori di una gloria immensa,
di un tesoro preziosissimo: essere araldi della speranza.
Sì, cari mecenati. Voi siete araldi di una immensa speranza:
la speranza che questa - per noi - faticosissima e immensa impresa,
quella cioè di arrivare a pubblicare un quotidiano, sia condizioni.
Condizione e fertile humus per la rinascita culturale - e anche
economica della nostra terra. Le due cose vanno strettamente a braccetto.
Aiutando e proteggendo la cultura, infatti, si aiuta l’economia.
Aiutando l’economia, si incrementa il consumo. Aumentando
il consumo, si aumentano le vendite e aumentando le vendite, cari
mecenati, aiutate voi stessi in modo indiretto. Aiutando il SUD
a crescere è, oltre quanto detto sopra, come fare un investimento,
una azzeccatissimo investimento a breve, a medio e a lungo termine.
Non solo a breve termine - il vostro marchio presente con pochissimi
soldi su tutta la provincia di Napoli - ma soprattutto a lungo termine.
Questa la garanzia di SUD. Battere a tappeto il mercato e reinvestire
non per lucrare, ma per estendere il mercato dello stesso giornale.
Io ne sono la garanzia e io risponderò in prima persona allorquando
questo non si verificasse..
Per i prossimi tempi cercheremo di uscire a cadenza settimanale.
Il progetto, però, nasce e tende al quotidiano. Ebbene sì.
Noi non ci arrendiamo. La nostra anonima riposerà sogni tranquilli
quando questo progetto sarà realizzato. Giorni? Mesi? Non
importa. Importante è arrivarci. Nel frattempo roderemo periodicamente,
grazie al gentilissimo Eduardo Piccirilli direttore di Prometeo
che, dal momento in cui ha saputo del progetto, non ha smesso di
darci consigli, entusiasta anch’egli di quanto, se Dio vuole,
si andrà a realizzare. Non ultimo il consiglio di uscire,
per un po’ di tempo, come supplemento del suo prestigioso
giornale, per evitare i numeri zero e rischiare addirittura il reato
di stampa clandestina. Tante persone andrebbero inoltre ringraziate.
Non da ultimo il Sindaco insieme all’Amministrazione, che
nell’offrire la Sala Consiliare per la Conferenza Stampa,
ha dimostrato tutta la sua apertura culturale e l’immensa
disponibilità di chi veramente conta e crede di poter cambiare
in meglio le cose.
La redazione è a via Mario Pagano N° 24 Casoria. Il numero
telefonico della redazione 5404635. Da domani, tutti i giornali
dalle 15:00 alle 20:00, i signori mecenati possono telefonare o
venire di persona - sarebbe una buona occasione per farvela visitare
e prendere un caffè insieme - per fissare le uscite e metterci
d’accordo sugli spazi pubblicitari.
Il sogno del SUD per ora rimane tale. Sta ad ognuno di noi permettere
che prenda forma, che diventi realtà. Le possibilità
ci sono tutte e la competenza, la forza e la volontà pure.
Sta a noi il resto.
Sta a noi decidere, che la storia non ci travolga, trovandoci indifferenti.
Noi siamo la storia e sta a noi decidere se viverla o meno da protagonisti.
Sta a noi decidere.
P.S.
Ah! A proposito.
Stanotte ho fatto un sogno. Ho sognato di stare ore ed ore a contemplare
un magnifico celo stellato mentre cercavo di identificare Aldèbaran,
la mia stella della costellazione del Toro, ho sentito una dolce
e soave melodia.
Era la musica delle stelle.
Dal 'Sud' del 29-10-1995
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