Le forze sane del paese propongono:
un nuovo partito?
“Quello che propongo
è molto semplice: iniziare un rapporto, una riflessione su
una vita da intraprendere per venire fuori (…) da una città
non vissuta, spesso mortificata da giochi di potere e clientele,
lacerata, caotica”.
La relazione introduttiva di Luigi Antonio Gambuti, Direttore Didattico
del 1° Circolo di Afragola, tenuta nella Pro Loco venerdì
29 c.m. davanti ad un pubblico attento e qualificato ha ottenuto
consensi e plausi da gran parte dei convenuti al “forum”,
rappresentanti delle forze politiche nostrane e cittadini.
In un “oggi” mortificato da una cacofonia di voci e
di posizioni, peraltro non supportate da un sistema filosofico o
antropologico (dir che si voglia) che ne sia fondamento e che in
esse si esprima, è confortante scorgere all’orizzonte
la presenza di un “fuoco” galvanico che si propone di
imbrigliare le energie positive presenti nella nostra città,
caratterizzate da una volontà che sembra andare al di là
delle paràtaxeis (prese di posizioni ostentate solo per partito
preso, avulse da un atteggiamento ypò lògoy –secondo
ragione-) e che tende ad incontrarsi sotto il tetto comune della
operosità fattiva perché l’uomo (afragolese
se volete) si riappropri della dignità che gli è stata
per troppo tempo negata.
“Vorrei proporre ai politici presenti – afferma Gambuti
– la riscoperta della politica, non nell’accezione di
mestierismo ma come “vocazione della politica stessa”,
come servizio storico all’uomo che, presente nella storia
hic et nunc, rappresenta l’elemento costitutivo di una comunità
organizzata come koinonìa (termine biblico molto carico semanticamente
che sta ad indicare la comunione in senso molto stretto n.d.r.),
nella quale ognuno si senta protagonista.
Questo “presentissimo” storico di cui sopra –
secondo Gambuti - chiama, “esige un programma popolare che
guardi agli ultimi, alla persona, alla tradizione come radicamento
in essa e superamento”, dialettica, quest’ultima, che
rappresenta la dimensione costitutiva della persona stessa. Il problema
è, dunque, di trovare nel cuore stesso del “quotidiano”,
un significato che non annulli il suo dinamismo, la sua ricchezza,
e che tuttavia non si riduca alla sua instabile frammentarietà.
Non si tratta di sorvolare la vita nella sua concreta realtà,
costruendo un mondo immaginario, “accademico” o “fumoso”,
che qualche relatore ha cercato di contestare ai prolegomeni gambutiani.
Come, senza un quid che dice stabilità, il divenire si vanifica,
così, senza un legame intimo che la unifichi, la molteplicità
si dissolve.
Non credo ad una convergenza o ad un “ecumenismo”- come
qualcuno ha affermato – programmatico; a rigore, anzi, si
può parlare di molteplicità solo là dove vi
è un unico orizzonte entro il quale i molti coesistono, si
confrontano, si contrappongono. Non ci sono differenze se non c’è
un fondo comune: altrimenti è la pura e semplice incommensurabilità.
E’ questa, a mio avviso, la finalità che devono proporsi
di perseguire i prossimi incontri che sono stati indetti perché
questo “ectoplasma” –come lo ha definito lo stesso
Gambuti – prenda forma.
Condizione necessaria e sufficiente che, sola, ha la capacità
di legittimare ontologicamente questa nuova e dirompente formazione
che è ancora in gestazione è un “andare al di
là” che sono aspetti di un unico movimento di fondazione
che è vitale e insostituibile alla individuazione di un qualsiasi
soggetto che voglia essere veramente tale.
La cultura – come hanno felicemente sottolineato il Piccirilli
e la Barisciano in due successivi interventi – come prodotto
dell’uomo, è necessariamente estensiva del suo essere.
Non si può voler fare politica se manca un disegno antropologico-culturale
che orienti le scelte del “feriale” e si esprima in
esse. E stiamo attenti a non cedere al deprimente superficialismo
di chi relega questo discorso nei meandri dell’astrattismo:
esso è più reale e più concreto della mia esistenza.
L’uomo oltre ad essere homo somaticus, vivens, sapiens, volens,
loquens, socialis, faber, ludens, religiosus è soprattuttohomo
culturalis: senza questa dimensione non si dà l’uomo.
La verità, caro Gambuti, non si compromette. Non si giustifichi
di fronte alle accuse di “fumosità” e di “accademismo”:
il suo discorso ha tutti i crismi di un discorso fondante e programmatico.
Non ceda alla logica del consenso a tutti i costi: popolarità
non significa rinnegamento di se stessi. L’arte della critica
distruttiva è facile, e “semplice spaziosa è
la vita”. Qualsiasi forza, politica o meno, che ha spessore
propositivo e valore in se stessa, non ha bisogno di utilizzare,
abbassandosi, la logica del “mors tua, vita mea” perché
“non può restare nascosta una città collocata
su un colle.
La verità, caro Gambuti, è apertura e confronto, ma
nella fedeltà a se stessi: è segno di contraddizione!
Da 'Afragola Oggi' del 7-11-1993
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