Inizia l'anno scolastico e siamo alle solite

Questa è una storia vera. Il diavolo una volta venne sulla terra e constatò con dispetto che c’erano ancora degli uomini che credevano nel bene. Siccome il diavolo non manca di spirito, fece presto a rendersi conto che quegli uomini presentavano dei caratteri comuni: erano buoni e per questo credevano nel bene, erano felici e per questo erano buoni, erano calmi e equilibrati e per questo erano felici. Il diavolo ne concluse che dal suo punto di vista tutto non andava per il meglio nel migliore dei modi e pensò al modo di cambiare questo stato di cose. “I bambini rappresentano l’avvenire della razza”, disse fra sé e sé, “cominciò dai bambini”. E apparve agli uomini nell’aspetto d’uomo di Dio e di riformatore della società. “Dio, dichiarò, esige la mortificazione della carne. Bisogna cominciare dai bambini. La gioia è un peccato. Le risate sono bestemmie. I bambini non devono conoscere né gioia né risate. L’amore della mamma è un pericolo: infiacchisce l’animo del bambino; bisogna allontanare il figlio dalla madre perché nulla sia di ostacolo alla sua comunione con Dio. Bisogna che i giovani imparino che la vita è sforzo. Riempitegliela di lavoro (in francese: “travail”, dal latino “tripalium”, trepali, strumento di tortura), riempitela di noia. Tutto ciò che potrebbe risvegliare l’interesse venga inbandito! E’ buono in se stesso soltanto il lavoro sgradito, se vi si introduce il piacere è perdizione!”.
Così parlò il diavolo. La folla si inclinò con la fronte contro la terra.
“Vogliamo essere salvati” gridò la folla. “Che cosa si deve fare?”
“Create la scuola”.
E secondo le indicazioni del diavolo la scuola fu creata.

(FERRIERE A.,
Trasformiamo la Scuola,
La Nuova Italia,
Firenze, 1952, XI-XII).

L’incipit della prefazione di “Trasformiamo la Scuola” sembra rendere fedelmente la situazione dell’istruzione nella nostra città. Il concetto che felicemente ha espresso sopra il Ferriere è sempre fluidificante, mai considerato in tutta la sua gravità e comunque diafano, sfuggente immateriale, perso nei meandri di una formalizzazione linguistica sclerotizzata nei dedali della tipologia semiotica di marca ministeriale che, allorquando venisse considerata, verrebbe stigmatizzata come “mondo lontano, infinitamente lontano”, un mondo di “studiosi-burocrati” che parlano della scuola senza essere nella scuola, che legiferano su di essa dall’alto di remoti sistemi galattici distanti da noi centinaia di anni luce.
Data per scontata la irriverenza dell’universo legislativo che non fa niente o quasi per calarsi nel fragile mondo cognitivo della categoria “insegnanti” non si può non denunciare un atteggiamento altrettanto negativo da parte di quest’ultima: l’indifferenza e la disinformazione che ostenta, saccente, nei confronti del legislatore. Il non considerare, per esempio, l’O.M. n° 236 del 2/8/83 come la punta dell’iceberg di un processo generale di rinnovamento della scuola (in questo caso quella elementare) frutto di una maturazione evolutiva della pedagogia italiana, conduce alla paradossale situazione evangelica di applicare “troppe nuove su un vestito già vecchio e logoro” con il rischio che il vestito si strappi e si getti via “il bambino insieme al catino”.
E’ inconcepibile e assurdo che nella scuola di ogni ordine e grado debbano essere ancora pronunciare frasi del tipo: “Gli serva da lezione”, “L’alunno non si è impegnato ed è disinteressato alla lezione” o addirittura “Ha limitate capacità intellettive”.
Ma stiamo scherzando?
Ricordo che l’anno scorso un genitore venne da me a consiglio perché indeciso sulla scuola da scegliere per suo figlio. “Fatti il giro delle scuole di Afragola - gli dissi - e iscrivi tuo figlio in quella che ha fatto il numero più basso dei bocciati”. Il valore del docente, infatti, è direttamente proporzionale a quello del discente. Questo assioma vale sempre e serva da guida per le scelte e da deterrente alle impellenze vandaliche di qualche docente (forse di remota origine unna) che falcia alunni come erba, come pula che il vento disperde.
Eppure, allorquando mi accingo ad intervistare Presidi e Direttori Didattici per pubblicare la consueta inchiesta annuale che sonda l’avvio dell’A.S. ad Afragola devo, armato di molta pazienza, sorbire l’elencazione interminabile delle innumerevoli disfunzioni tecnico-burocratico-strutturali delle scuole stesse:
“Scuola Aldo Moro ancora a doppio turno (unica ad Afragola) per la inettitudine di un’Amministrazione che non è in grado di completare plessi e scuole i cui lavori iniziano e sistematicamente si bloccano per mancanza di soldi che giocano a nascondino;
L’Assessore alla P.I. Errichiello, che fa una specie di asta pubblica per “vendere” al migliore offerente la succursale di via Amendola, peraltro in pessime condizioni, poi aggiudicata alla “Settembrini”;
Quasi tutte le altre scuole medie cittadine con problemi di staticità e problemi igienici a dir poco gravi, a cui si è fatto fronte chiudendo un occhio... o forse due;
Il “Minzoni” con due aule in meno a cui rispondere il Liceo “Brunelleschi”, al quale ne mancano quattro.
“Abbiamo dovuto sopperire a questa deficienza strutturale -afferma il Preside Chianese- con una forzata turnazione (Settimana corta) ma nel rispetto dell’orario curricolare; e tante e tante altre disfunzioni che richiederebbero molto spazio ma che, in fin dei conti, finirebbero col risolversi in uno sterile elenco di problemi, che una più oculata e onesta gestione amministrativa avrebbe potuto risolvere benissimo.
Eppure basterebbe accendere la TV e vedere, tanto per dirne una, il “Maurizio Costanzo Show” o “Non è la Rai” dopo averne costatato l’audience, per rendersi conto dei frutti di questa scuola; una scuola che ha prodotto una irrimediabile “frattura cognitiva” tra il logos e il nous in barba agli emanazionismi cosmologici dello stoicismo musoniano e alla traduzione antropologica di questi; una scuola che non ha saputo arginare l’incipiente dualismo di antitesi tra la res-cogitans e la res-extenza con il relativo annichilimento assiologico del primo termine e la sublimazione del secondo; una scuola che ha fatto sprofondare l’uomo nel baratro della insipienza ontologica e ci ha fatto entrare nell’era del nuovo sofismo gorgiano peraltro non teorizzato in virtù di una abissale deficienza teoretica epocale che non ha la capacità di ergersi dall’abisso della contintenza e di assidersi sul trono vacante dell’uomo.

Da 'Afragola Oggi' del 25-09-1994

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