Vittoria D'Alario, docente di Sacre Scritture alla Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale

L'intervento della professoressa Vittoria D'Alario in realplayer

 

Il mio intervento sul racconto di Tommaso Travaglino "Il Mare Perduto" potrebbe essere intitolato: "Qohelet e Simon, due testimoni dell'esperienza ebraica del trascendente".
Quando Tommaso Travaglino, che è stato uno dei miei alunni più brillanti presso l'Istituto di Scienze Religiose di Largo Donnaregina, mi ha proposto di presentare il suo racconto, avevo della perplessità perché, trattandosi di un genere di letteratura che esula dalle mie competenze, temevo di non poter rendere adeguatamente il valore dell'opera. Ma quando ho aperto questo breve romanzo e ho trovato la prima citazione del Qohelet, ho capito che un singolare destino intellettuale ci aveva accomunati in questi lunghi anni di separazione: la ricerca della sapienza sulla linea del Qohelet, il libro più enigmatico ed affascinante dell'Antico Testamento. Secondo me la chiave di comprensione di questo romanzo, che a una prima lettura può sembrare ermetico e criptico, si trova proprio nell'ispirazione qoheletiana. Così si legge infatti a pag. 9:
"Pensavo e dicevo tra me: "Ecco, io ho avuto una sapienza superiore e più vasta di quella che ebbero quanti regnarono prima di me in Gerusalemme. La mia mente ha curato molto la sapienza e la scienza". Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia e ho compreso che anche questo è come inseguire il vento, perché molta sapienza è molto affanno; chi accresce il sapere, aumenta il dolore. (Qo 1,16-18). Hokmah, la Sapienza, è il personaggio-chiave di tutto il romanzo. Si tratta, però, di una sapienza che non è sicurezza di senso e di conoscenza, ma inquietudine e sofferenza e che non a caso si coniuga con la stoltezza e con la follia. Il protagonista, Simon, anela alla Sapienza più che ad ogni altra cosa, ma si trova come sospeso in un vuoto che squarcia brutalmente la sua esistenza: "Quel giorno dietro la finestra stetti molte ore a guardare fuori. Vedevo cose senza senso che non avevano relazione alcuna tra loro. Ebbi la sensazione che la mia vita vissuta fosse slegata completamente dal contesto logico che io mi sforzavo di assegnarle: era tutto --non so come dire-- convenzionale, artificioso, deficiente di significato apparente" (pag. 13). Come nel libro del Qohelet, così anche nel romanzo la ricerca della Hokmah si coniuga con l'esperienza dell'assurdo, un tema che ha impegnato la letteratura mondiale per tutto il Novecento. E' questo l'altro fondamentale polo di riferimento perché il lettore possa inoltrarsi, insieme al protagonista del romanzo, nel sentiero della conoscenza. Il linguaggio iniziatico, che l'autore mutua dalla letteratura chassidica, diventa lo strumento privilegiato per delineare il sofferto percorso interiore del protagonista, un ebreo che ha vissuto l'esperienza della Shoah. Come per Qohelet, così anche per Simon la Hokmah è irraggiungibile ma la consapevolezza che è impossibile possedere la Hokmah segna in modo ineluttabile l'esistenza di Simon lasciando in lui un senso profondo di insoddisfazione: "Ero in lacrime, piangevo a dirotto: "Non mi basta il tuo amore, Hokmah, non ti sento, non ti vedo, non mi sei accanto. Voglio essere abbracciato--piangevo--voglio che tu mi stia accanto, che mi stringa forte, che senta il tuo respiro, che senta le tue forti braccia intorno alla mia vita, che senta la tua carnale protezione" (pag. 45). A differenza di Qohelet, che dalla riflessione sulla vanità fa scaturire il messaggio della gioia di vivere, Simon ha scelto la via dell'unione mistica con la Hokmah ma il suo rapporto con la Sapienza è diventato ormai conflittuale: l'anelito alla comunione mistica si scontra con i bisogni carnali della sua umanità. Egli ama Francesca ed è questo amore che lo salva dalla follia assoluta.
Forse la differenza tra Qohelet e Simon è dovuta al fatto che Simon ha vissuto la Shoah e questa esperienza gli ha tolto per sempre la possibilità di vivere un'esistenza serena e gioiosa. Il dolore diventa sempre più forte e insopportabile; è un mare forte e tempestoso che non lo abbandona mai. Il mare perduto diventa allora l'emblema della condizione umana, segnata dall'ansia della ricerca e dal bisogno di un sapere totale e onnicomprensivo che l'uomo non potrà mai possedere perché esso spetta soltanto a Dio. In questa sua apertura alla Trascendenza Simon si ricollega ancora una volta a Qohelet che con il suo enigmatico messaggio ci conduce alle soglie del mistero.
In conclusione mi sembra però importante sottolineare come questa mia presentazione del racconto di Tommaso Travaglino sia soltanto una delle possibili letture di questo avvincente romanzo. Come ogni testo letterario, esso si apre a molteplici livelli di interpretazione a seconda del punto di vista dal quale ci si pone e proprio in questo risiede il fascino di questo lavoro che ha il pregio di stimolare alla ricerca chiunque desideri avventurarsi nell'oceano della conoscenza.

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