Ringrazio innanzitutto questo nobile consesso che perderà
un po’ del suo tempo per ascoltare le mie parole.
Vorrei ringraziare il comitato organizzatore che ha voluto
scegliermi, volontà loro, a recensire il bel libro
di Tommaso Travaglino.
Questo racconto non tratta di fantasiosi delitti preparati
e perpetrati all’ombra di qualche monastero; non narra
scene disgustose e bruliginose di sesso, che non si dilunga
in indagini poliziesche a senso unico. Tutti ingredienti
che la carcassa di certa stampa radical-schic, che spaccia
come elementi importanti di un successo editoriale. Romanzi
tutti che sempre la gran cassa di certa stampa politicamente
corretta li indica come capolavori del secolo, il lungo
racconto di Tommaso Travaglino non contiene nulla tutto
questo; è un’analisi spietata della nostra
limitatezza di uomini di fonte alle meraviglie del creato
e di fronte ai misteri di Dio, che certi filosofi spinti
dalla loro arroganza di voler sapere più di quanto
sia necessario, hanno presunto di poter penetrare i misteri
di Dio.
Il lungo racconto di Tommaso, che a chi legge attentamente
e commenta libero da pregiudizi confessionali o politici,
pone domande serie e preoccupanti: l’angascia dell’uomo
di oggi è d’avvero inquietante perché
ha perso ogni punto di riferimento. L’uomo di oggi
non si pone di fronte ai problemi che occupano la sua mente,
né con il cuore né con la fede, ma solo con
la sua fredda razionalità, una fredda razionalità
che lo porterà inevitabilmente a negare lo stesso
Dio come vollero farci credere i vari Voltaire, Roberspier,
e tutti quegli idioti che furono responsabili morali del
sangue innocentemente sparso di quei poveri malcapitati
che venivano condannati dai cosiddetti tribunali del popolo
e mandati alla ghigliottina.
Quanti orrori! Quante sofferenze ha creato la fredda razionalità.
Dio non è solo giusto, ma è anche amore e
se la giustizia non si sposa con l’amore essa è
destinata a produrre molti Robespier e molti Maron. Questi
ultimi vittime della loro stessa follia giustizialista.
Per ritornare al nostro libro, esso va letto non una sola
volta ma più volte, altrimenti non si riuscirà
a capire cosa l’autore abbia voluto intendere. E’
la storia di un ebreo, Simòn, che sulle ali della
sua memoria cerca di ricostruire eventi di molti anni prima,
ma è anche l’affannosa, perspicace e cocciuta
ricerca della verità e la sua corsa verso quelle
ante che non si apriranno mai.
E’ una corsa ansimante e insistente perché
non può sfondare quelle ante, non può superare
l’invalicabile; e quindi deve amaramente, ma con risvolti
positivi, ammettere che all’uomo non è possibile
attraversare quella porta e perciò deve restare alla
sua limitatezza, al suo essere uomo e non pretende di diventare
improvvisamente Dio.
La mia disamina e la mia coscienza di studioso mi impone
di denunziare il degrado culturale che ha spinto e che raggiunge
addirittura punte inquietanti nella nostra patria; e perciò
ben vengano di questi libri che educano alla riflessione
e non alla pigrizia; che spingono il lettore a interrogarsi
e non alla facinoleria e al pressappochismo.