Vi ringrazio e vorrei innanzitutto porre un ringraziamento
all’Amministrazione Comunale, che tra l’altro
mi ha dato l’opportunità di curare la direzione
di questo centro polifunzionale, e forse proprio stasera,
col la presentazione del libro di Tommaso Travaglino, inaugura
una serie di splendide iniziative, con la speranza di poter
dare un piccolo contributo culturale alla nostra città.
Desidero esprimere una personale somministrazione perché
di Tommaso Travaglino sono un amico da tempo e quindi vorrei
pormi come un lettore di una sua opera, e la cosa mi ha
fatto davvero molto piacere.
E’ stato detto già molto sul libro, caratterizzato
da un narrazione tutta condotta su un gioco di memoria e
di sogno. Caratterizzato da una struttura lineare intrisa
di momenti biblici, intessuta di richiami e da esperienze
letterarie, filosofiche, che tuttavia non appesantiscono
la trama narrativa e non rendono impossibile la lettura
del testo ad un lettore non dotto.
Vorrei comunque soffermarmi su pochissimi punti. Innanzitutto
il tema del viaggio, che fa da sfondo a tutta la narrazione,
che è qui da intendersi, come già accadeva
nella narrativa pirandelliana, come una ricerca, un progressivo
e graduale accostamento a una verità anche esasperatamente
ricercata. La vicenda di Simòn, che si consuma tra
i marosi dell’esistere, tra la ricerca di punti fermi
che possano consentire di salvarsi dalla follia è
paradigma di un’esistenza travagliata come quella
di S.Agostino, che sperimentò ogni esperienza possibile
al fine di ottenere quella serenità che il suo cuore
inquieto agognava, ma che dopo mille tentativi fallititi
trovò solo in Dio.
Un altro focus è sull’uso della parola. Sul
piano narrativo è evidente che c’è una
duplicità di livelli espressivi, uno semplice e uno
complesso, che si accompagnano rispettivamente alle sezioni
narrative e alle parti dedicate alla riflessione. Sul piano
semantico sembra che Tommaso abbia costruito quello che
Lorckman difinisce una semius vera, un sistema di segni
e di simboli che si rincorrono nel testo con un regime di
simmetrie perfette, che è esso stesso il riflesso
di una concezione di una letteratura evidentemente anpiasce,
la cui cifra è appunto il verbum, la parola, che
non solo da leggere ma da interpretare, da analizzare, da
contestualizzare, da vivere.
Ogni libro svela ad un certo punto la ragion d’essere,
il motivo della sua esistenza sulla carta ed elementi di
lettura, il mare perduto è figlio a mio avviso del
taumazein, dello stupore, della meraviglia di fronte all’universo
e ai sistemi della vita che sono il fondamento della filosofia
e che di ogni ricerca sui fondamenti dell’esistenza.
Si legge a pag 44: “La luna era alta, e il suo arcano
lucore riempiva la stanza con un insolito chiarore, spensi
la luce e rimasi attonito di fronte allo spettacolo delle
stelle, la profonda ed intima sofferenza mi rendeva estremamente
emotivo, non riuscivo a frenare le lacrime di fronte a quella
meraviglia.”
Dallo stupore nasce l’esigenza di comprendere, di
non fermarsi al quia, di dare inizio all’avventura
della conoscenza e, se non è rischiarata dai lumi
della consapevolezza del limite, conduce alla pazzia, all’excelsium
mentis, al delirio.
Un’ultima considerazione è rivolta al lettore
che ama la musica, di scorgere nel racconto diversi riferimenti
all’arte del suono. Nessun cedimento all’uso
voluttuale della musica, nessuna concessione alle mode.
La musica in vista del racconto come un riflesso terreno
dell’autor sperar nell’armonia.
Altra musica concorre alla ricerca dell’uomo peregrino
che compie, attraverso tutte le esperienze della sua esistenza,
anch’essa gli consente di trovare se stesso, di incontrarsi
prima di incontrare il mondo, di definire la sua identità
che è anche un identità sonora.
Si legge a pag. 52: “Beato è l’uomo che
conosce la sua teruah, il suo suono egli procede alla luce
del volto del Signore.”
Per concludere, il libro non deve essere inteso come un
libro per credenti, il suo fondamento lo impedisce. Mi riferisco
al libro di Qoelet, che può essere immaginato come
un punto interrogativo posto a margine del libro dei Proverbi.
Mentre i Proverbi presentano la sapienza come via alla vita,
Qoelet si interroga sul senso della vita, di questa vita
e della morte. Qoelet può fare da ponte tra il mondo
dei credenti e non credenti, e sollecita i credenti a non
smettere di chiedersi quale sia il loro scopo in questa
vita a parte quella che sperano dopo la morte.
Il libro biblico non è un libro pessimista, altrettanto
non lo è il Mare Perduto, al cui l’autore non
mi resta che rivolgere l’augurio ricco di speranza
e di valenze simboliche inneggianti alla gioia di vivere,
con le parole stesse di Qoelet, che esprimono il tributo
dell’essere, la vittoria del Saio sugli stampi di
inquietanti versanti, la pienezza della vita: il profumo
non manchi mai sul tuo capo.