Maurizio Piscitelli, Responsabile Ufficio Stampa della Direzione Scolastica Regionale della Campania

L'intervento del professore Maurizio Piscitelli in realplayer

 

Vi ringrazio e vorrei innanzitutto porre un ringraziamento all’Amministrazione Comunale, che tra l’altro mi ha dato l’opportunità di curare la direzione di questo centro polifunzionale, e forse proprio stasera, col la presentazione del libro di Tommaso Travaglino, inaugura una serie di splendide iniziative, con la speranza di poter dare un piccolo contributo culturale alla nostra città.
Desidero esprimere una personale somministrazione perché di Tommaso Travaglino sono un amico da tempo e quindi vorrei pormi come un lettore di una sua opera, e la cosa mi ha fatto davvero molto piacere.
E’ stato detto già molto sul libro, caratterizzato da un narrazione tutta condotta su un gioco di memoria e di sogno. Caratterizzato da una struttura lineare intrisa di momenti biblici, intessuta di richiami e da esperienze letterarie, filosofiche, che tuttavia non appesantiscono la trama narrativa e non rendono impossibile la lettura del testo ad un lettore non dotto.
Vorrei comunque soffermarmi su pochissimi punti. Innanzitutto il tema del viaggio, che fa da sfondo a tutta la narrazione, che è qui da intendersi, come già accadeva nella narrativa pirandelliana, come una ricerca, un progressivo e graduale accostamento a una verità anche esasperatamente ricercata. La vicenda di Simòn, che si consuma tra i marosi dell’esistere, tra la ricerca di punti fermi che possano consentire di salvarsi dalla follia è paradigma di un’esistenza travagliata come quella di S.Agostino, che sperimentò ogni esperienza possibile al fine di ottenere quella serenità che il suo cuore inquieto agognava, ma che dopo mille tentativi fallititi trovò solo in Dio.
Un altro focus è sull’uso della parola. Sul piano narrativo è evidente che c’è una duplicità di livelli espressivi, uno semplice e uno complesso, che si accompagnano rispettivamente alle sezioni narrative e alle parti dedicate alla riflessione. Sul piano semantico sembra che Tommaso abbia costruito quello che Lorckman difinisce una semius vera, un sistema di segni e di simboli che si rincorrono nel testo con un regime di simmetrie perfette, che è esso stesso il riflesso di una concezione di una letteratura evidentemente anpiasce, la cui cifra è appunto il verbum, la parola, che non solo da leggere ma da interpretare, da analizzare, da contestualizzare, da vivere.
Ogni libro svela ad un certo punto la ragion d’essere, il motivo della sua esistenza sulla carta ed elementi di lettura, il mare perduto è figlio a mio avviso del taumazein, dello stupore, della meraviglia di fronte all’universo e ai sistemi della vita che sono il fondamento della filosofia e che di ogni ricerca sui fondamenti dell’esistenza.
Si legge a pag 44: “La luna era alta, e il suo arcano lucore riempiva la stanza con un insolito chiarore, spensi la luce e rimasi attonito di fronte allo spettacolo delle stelle, la profonda ed intima sofferenza mi rendeva estremamente emotivo, non riuscivo a frenare le lacrime di fronte a quella meraviglia.”
Dallo stupore nasce l’esigenza di comprendere, di non fermarsi al quia, di dare inizio all’avventura della conoscenza e, se non è rischiarata dai lumi della consapevolezza del limite, conduce alla pazzia, all’excelsium mentis, al delirio.
Un’ultima considerazione è rivolta al lettore che ama la musica, di scorgere nel racconto diversi riferimenti all’arte del suono. Nessun cedimento all’uso voluttuale della musica, nessuna concessione alle mode. La musica in vista del racconto come un riflesso terreno dell’autor sperar nell’armonia.
Altra musica concorre alla ricerca dell’uomo peregrino che compie, attraverso tutte le esperienze della sua esistenza, anch’essa gli consente di trovare se stesso, di incontrarsi prima di incontrare il mondo, di definire la sua identità che è anche un identità sonora.
Si legge a pag. 52: “Beato è l’uomo che conosce la sua teruah, il suo suono egli procede alla luce del volto del Signore.”
Per concludere, il libro non deve essere inteso come un libro per credenti, il suo fondamento lo impedisce. Mi riferisco al libro di Qoelet, che può essere immaginato come un punto interrogativo posto a margine del libro dei Proverbi.
Mentre i Proverbi presentano la sapienza come via alla vita, Qoelet si interroga sul senso della vita, di questa vita e della morte. Qoelet può fare da ponte tra il mondo dei credenti e non credenti, e sollecita i credenti a non smettere di chiedersi quale sia il loro scopo in questa vita a parte quella che sperano dopo la morte.
Il libro biblico non è un libro pessimista, altrettanto non lo è il Mare Perduto, al cui l’autore non mi resta che rivolgere l’augurio ricco di speranza e di valenze simboliche inneggianti alla gioia di vivere, con le parole stesse di Qoelet, che esprimono il tributo dell’essere, la vittoria del Saio sugli stampi di inquietanti versanti, la pienezza della vita: il profumo non manchi mai sul tuo capo.

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